Nella relazione annuale al Parlamento, il presidente dell'Auditel ha messo in evidenza le forti concentrazioni e le alleanze trasversali nella tv, lo squilibrio tra globale e locale indotto dagli Ott, il cambiamento dei modelli di consumo televisivo, la crescita della tv su device alternativi al televisore. Ma anche la zona d'ombra di 3,5 milioni di famiglie prive ancora di connessione
(25 maggio 2021) - Una grande corsa mondiale al ‘nuovo oro televisivo’, con processi di concentrazione e alleanze trasversali senza precedenti. Uno squilibrio tra globale e locale scatenato dall'irrompere sul mercato dei giganti Ott. E, contestualmente, favorito dalle nuove tecnologie di accesso e dalla crescita esponenziale degli schermi, un grande cambiamento sul fronte dei consumi televisivi: nuovi fruitori come Millennials e Generazione Z, nuovi comportamenti di fruizione, nuove abitudini di visione. Con una forte crescita della cosiddetta ‘tv fuori dal televisore’, ovvero della visione di contenuti televisivi, live e on demand, su smartphone, tablet e personal computer. È questa la sintesi della Relazione al Parlamento 2021 che il presidente di Auditel, Andrea Imperiali, ha tenuto al Senato illustrando l'andamento del mercato televisivo, a titolo ‘Il ruolo di Auditel nella nuova realtà multischermo della tv oltre il televisore’.
Imperiali ha detto che “il 2020 sarà ricordato come l'anno in cui la popolazione italiana, segregata dal Covid-19, ha giocoforza compiuto un gigantesco balzo sul fronte della digitalizzazione, si è dotata di nuovi collegamenti e di nuovi device, ha imparato velocemente a governarli, ha avviato una fruizione più consapevole dei contenuti multimediali”. Ma non ha mancato di sottolineare ‘una inquietante zona d'ombra’: “3,5 milioni di famiglie italiane ancora non dispongono di una connessione alla rete, famiglie che rischiano, nel nuovo contesto, di essere totalmente emarginate dalle dinamiche sociali in atto”. Imperiali ha poi messo l'accento sulla crescente concentrazione del mercato tv dovuta “all'irrompere di soggetti con dimensioni di scala globali e che sfuggono a ogni forma di regolamentazione e controllo” con “un aumento della pressione competitiva sugli operatori tradizionali”.
La combinazione di questi fattori sta radicalmente ridisegnando l'industria televisiva, ma - avverte il presidente di Auditel - non è un level playing field: “Non stiamo assistendo a una normale e normata competizione. Vediamo consolidarsi, giorno dopo giorno, condizioni di concorrenza asimmetriche e sempre meno eque e uniformi. Accresciute da uno squilibrio crescente tra la dimensione globale e quella locale degli operatori europei. Non è esagerato dire, perciò, che, se non interverranno correttivi quanto mai urgenti, la cosiddetta democrazia digitale rischia di essere inghiottita da una oligarchia dispotica”.
Imperiali ha ricordato quindi che “le Istituzioni e le Autorità di regolamentazione hanno un ruolo più che mai fondamentale in questo contesto rivoluzionato, soprattutto alla luce della stagione costituente che, negli ultimi mesi, sta caratterizzando le decisioni europee finalizzate a ricondurre le nuove tecnologie, e i fenomeni che ne derivano, all'interno di un sistema normativo condiviso”. E ha concluso: “La tv ha oggi più che mai un ruolo centrale nella vita del Paese. Un ruolo accresciuto dall'allargamento dei suoi confini. Non prenderne atto e non intervenire significa mettere a repentaglio un pezzo fondamentale della nostra vita democratica”.
Sul tema del boom della digitalizzazione è arrivato un commento da Lorenzo Sassoli De Bianchi, presidente di Upa: “Durante la pandemia gli italiani hanno capito l'importanza di essere collegati alla rete. La pacifica rivoluzione intergenerazionale in cui anche le fasce d'età più avanzate hanno accesso alle piattaforme rappresenta una grande opportunità per lo sviluppo digitale delle famiglie. Non solo intrattenimento ma anche didattica, telemedicina, commercio elettronico. Il televisore sarà sempre più il cruscotto operativo della famiglia. Ma 3,5 milioni di famiglie senza connessione sono troppe per un Paese che voglia guardare con fiducia al futuro”.